Da cinquant’anni a questa parte una delle cose che unisce grandi e bambini è giocare con quei blocchi colorati che hanno visto crescere intere generazioni. Parliamo dei famosi mattoncini, nati dalla creatività di un falegname danese Ole Kirk Christiansen che quando decise di chiamare i suoi giocattoli LEGO, prendendo ispirazione dalla locuzione in lingua danese leg godt , “gioca bene”, cambiò radicalmente le regole del gioco… da quando i mattoncini in plastica colorata apparvero nelle case nulla fu più come prima.
Gioco che stimola creatività e intelligenza. Gioco divertente adatto ai più piccini e ai più grandi. Per lui e per lei. Di definizioni in questi anni ne sono state date tante. Di letture sulla capacità di questo gioco di sviluppare giovani menti, anche.
La verità è che quei mattoncini colorati non sono solo figure geometriche di plastica da incastrare che danno a tutti la possibilità di divertirsi. Sono oggetti che si fanno riconoscere da lontano, catturano lo sguardo e le persone. Non c’è bisogno di libretto di istruzioni. In qualsiasi luogo ci si trovi, su qualsiasi piano circoscritto li si appoggi, i mattoncini sapranno attirare l’attenzione, unire le persone e creare relazioni, non importa quale sia l’età, la condizione socio-culturale, e non importa quale sia il sesso.
La Lego agisce socialmente con una sua personalità e non solo rappresentando colui che lo ha posto in quello spazio.
Ed è per questo che ancora oggi hanno ancora molto da dire. Sono il linguaggio preferito di tanti artisti e designer come Fabien Bouchard e Mademoiselle Maurice che tanto credono nella personalità dei mattoncini, che hanno creato una divertente serie di autoritratti in formato polaroid.
Chiaramente la testa di ciascuno è stata sostituita dalla famosa “faccina gialla“…
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